Dalla piantagione alla tavoletta: Gianluca Franzoni e Domori, un'eccellenza tutta bolognese

Gianluca Franzoni, presidente della Domori, all'Hacienda San José (foto di Alice Fiorilli). La sua missione? Impedire l'estinzione del cacao pregiato Criollo, le cui bacche si dice fossero quelle coltivate dai Maya. Ne parla oggi alla Feltrinelli


Mi sento un po' come Camilla Baresani, che prima di incontrare Gianluca Franzoni,  per la scrittura del libro Alla ricerca del cacao perduto (Gribaudo, 25 euro) non aveva mai veramente apprezzato il cioccolato. Beh, io non sono così refrattaria come racconta lei nella sua intro "da analfabeta ad adepta", ma di sicuro verso la categoria non nutro un senso di appartenenza come chessò, verso il tè, (per usare una materia di paragone abbastanza appropriata) che sottolinea spesso un momento della mia quotidianità.
Il cioccolato non mi fa gola e solitamente vi ricorro in inverno, quando sento che le energie stanno calando. E in quel ricorro non ci sta certo la crema della crema della tavoletta, perché per me cioccolato significa: baci perugina, la cioccolata calda in tazza anche senza panna, la cioccolata ripiena d'arancia per l'abbinamento. E un tempo c'erano anche gli After Eight. Insomma ho dei gusti un po' commerciali, anche se non disdegno le praline meravigliose e preziose che si incontrano in questi giorni a Bologna, in piazza, in occasione del Cioccoshow. E dire che mia mamma, da piccola, la Nutella me l'ha vietata. E io non l'ho mai praticamente mangiata. Chissà, ne avrei capito di più di cioccolato?
Ma la vita le belle occasioni te le regala, ne ho le prove. Come quella di poter fare un po' di conversazione con Gianluca Franzoni, creatore di un'eccellenza del  cioccolato in Italia, per saperne di più sul suo libro che presenta oggi a Bologna alla libreria Feltrinelli in piazza Galvani 1/h. E poi questa è la sua città, dove tutto iniziò una domenica mattina della sua infanzia...andando a comprare il cioccolato da Majani.






Mi sono un po' dilungata nella mia introduzione, ma credo sia giusto così. Anche per far capire che io non sono un'esperta di cioccolato e che invece ho apprezzato molto il libro.
1- perché mi ha permesso di "farmi un po' di cultura", come si dice
2- perché racchiude, come la più prelibata delle praline Domori, una storia bellissima che mi ha fatto anche sognare. Una storia di vita, guidata da uno spirito perseverante, che forse qualcuno chiamerebbe demone, che ha trasformato un ideale in una missione e poi in un progetto di vita con l'obiettivo di far conoscere al mondo una varietà di cacao, il Criollo, abbandonata dalle grandi realtà multinazionali, perché poco produttiva e redditizia, ma perfetta per ottenere del cioccolato dalle eccezionali caratteristiche organolettiche. Come Domori, che produce tavolette di sola pasta di cacao e zucchero di canna, senza aggiunta di aromi o emulsionanti.

L'intervista con Gianluca Franzoni è stata breve e intensa e soprattutto effettuata senza mai aver consumato cioccolato Domori, lo ammetto. Ma ne ho percepito l'aroma forte. E l'ho percepita come una corsa veloce. Proprio come il treno su cui viaggiava alla volta di Napoli.
Proprio per questo, causa zone senza campo telefonico, non sono riuscita a finirla. Mi sono rimasti sul palato due quesiti: in che ordine è meglio degustare i vari tipi di cioccolato e se bisogna proprio essere degli esperti per aver voce in capitolo. Vale a dire: io che non lo sono, posso comunque essere capace di dire la mia durante una degustazione? Di che strumenti ho bisogno?
Bene, spero che mi risponderà oggi all'incontro. E sono molto curiosa di osservare da fuori la mia reazione al primo assaggio di questo cacao gourmet.

Gianluca Franzoni, nato nel 1966, è partito per il Venezuela nel 1993, ha scoperto il cacao, se n'è innamorato e ha deciso di rimanere in quella terra per tre anni, per sperimentare la pratica di campo, la post raccolta del cacao e impedire l'estinzione del Criollo.

L'intervista

Leggendo la sua storia si ha l'impressione che lei stesse cercando se stesso oltre che il cacao, là in Venezuela...
Ho sempre avuto un'inclinazione per le materie dolci fin da piccolo, poi ho virato verso il salato quando son cresciuto. Nei miei primi anni in Sudamerica avevo più che altro una conoscenza del mondo europeo dei vini, del caffé. Ma allora mi trovavo nel paese principe del cioccolato e questo ha fatto sì che risultasse facile infagare questo nuovo mondo. Infatti, lo start up per immaginare con originalità un mondo del genere a 20 anni, è stato quello di applicare un mondo più rigoroso come quello del vino, del caffè, dell'olio d'oliva, con una materia prima degustata in purezza. Il cacao ha avuto una storia singolare distante da questo, perché dopo la sua scoperta è stato via via contaminato con tanti ingredienti. Nel corso del Novecento è diventata sempre meno importante la peculiarità organolettica, la sua qualità intrinseca e si è scelto di coltivare solo le qualità ad alta resistenza e produttività.

Lei è rimasto in Venezuela tre anni, ha lasciato un'attività di ristorazione nel 1994 e si è trasferito in una casa sul mare a San Antonio del Golfo, come si legge nel libro, che ha riempito di "tostini - cioè tambuti da tostatura del caffè - padelle, fave di cacao, miscelatori". Ha girato i campi e le piantagioni, ha parlato con tanti coltivatori...
Il primo approccio è durato tre anni in cui ho posto i pilastri di un nuovo modo di pensare il cacao, perché non era mai esistita la filiera del cacao. Si importano i semi lavorati, ma nessuno agisce sulle piante coltivate. Invece è una pratica molto importante. Non fare questo è, come nel campo dell'enologia, produrre il vino solo travasandolo e senza fare il lavoro sul campo. Mi sono occupato della filiera, ho lavorato sulle fermentazioni e in azienda lavoro con un basso impatto sul cacao. Inoltre ho creato per il consumatore, un codice di degustazione che non esisteva.

Tutto è cominciato dalla sua città, Bologna, un giorno che...
Il ricordo più vivo è quando la domenica andavo da Majani a comprare la cioccolata.

E ha mai sognato che un giorno avrebbe fatto un cioccolato più buono di Majani?
No, il mio desiderio era quello di viaggiare. E lo alimentavo leggendo romanzi di avventura e di viaggio ottocenteschi. Ero già legato alla materia prima di cui mi sono appassionato, perché era sinonimo di esotismo e viaggio.

Cosa significa la parola Domori, nome che ha scelto per la sua azienda?
Nasce nel 1994, quando cercavo in me stesso, di scorporare quella figura di paladino del cacao. Domori è il cavaliere del cacao, è il nome dei due Mori di Venezia, terra di esotismo, sinonimo di viaggi e spezie. E i due mori, dal colore scuro, sono anche simbolo dei due semi scuri, cacao e caffè, che ho sempre amato.

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